Cari amici, è disponibile presso  le librerie il mio nuovo volume "IL PERDONO GUARISCE", edito da Elledici –  Marna.
Ricordo ciascuno nella preghiera.
don tiziano  
dontiziano@piccoliapostoli.orgDalla  prefazione di Beniamino Donnici Psichiatra-Psicoterapeuta:
Nonostante  l'approccio teorico e clinico, da parte della Psicologia, alla dinamica del  perdono, sia un fatto abbastanza recente, sono sempre più numerosi gli studi che  ne documentano gli effetti terapeutici e nuove scuole di pensiero spingono negli  scaffali polverosi delle biblioteche il convincimento irriducibile di Sigmund  Freud, che proprio di perdono non voleva sentire parlare, considerandolo  addirittura causa di disordini emotivi e di nevrosi. Tant'è! 
Con buona pace  del vecchio padre della psicanalisi, il perdono ha ormai definitivamente  esondato gli argini della teologia, della filosofia e il saggio di don Tiziano  Soldavini non manca di affrontare i tanti ed essenziali punti di contatto tra  queste due grandi direttrici del sapere umano, con il terreno sempre  movimentato, non di rado accidentato, delle discipline psicologiche.  
L'autore, prima di virare verso il centro del suo ragionamento e della sua  proposta - la cosiddetta "Cristoterapia" (termine che personalmente preferisco  non usare, perché si presta purtroppo ad eccessi e strumentalizzazioni) -  scandaglia gli approcci culturali, i modelli teorici e le metodologie di  intervento di due studiosi di quella che qualcuno comincia addirittura a  definire come la "scienza del perdono": il dr Robert D. Enright, psicologo,  docente nell'Università del Wisconsin, di cui è riportata nel testo una lunga ed  efficace intervista, ed Everett Worthington, medico e psicologo clinico della  Virginia University. 
Non sono i soli, del resto, a documentare come  attraverso la riduzione dei sentimenti di rabbia, vendetta, vergogna,  conseguenza di un atto di perdono, si ottengano stabili ed efficaci  modificazioni nei processi cognitivi, emotivi e comportamentali di una persona,  nella sua sfera psicologica, in quella biologica, relazionale e  sociale.
D'altra parte, don Tiziano Soldavini non è soltanto un sacerdote  particolarmente carismatico. Dipinge quadri bellissimi, scrive libri assai  interessanti, è apprezzato docente, conduce trasmissioni radiofoniche: verrebbe  da dire che la sua poliedrica sensibilità e il suo empito creativo si lasciano  contemporaneamente affascinare, senza soluzioni di continuità, dagli studi  teologici, dalla ricerca psicologica, quanto da un'eccezionale passione  artistica. A mio parere, però, il dono più grande che sin qui ha ricevuto dal  Buon Dio, prima di doversi probabilmente incamminare per altri sentieri e "Terre  nuove", è quello del servizio sacerdotale agli ammalati particolarmente gravi,  non di rado terminali, presso l'Ospedale Lazzaro Spallanzani, in Roma. 
A  contatto di gomito e di respiro con il dolore e la sofferenza, spesso  inenarrabili, si è così rafforzata in lui - ben oltre gli studi di psicologia  della comunicazione - l'innata capacità di indagare l'animo umano, che emerge  nelle pagine di questo libro, che mi spingo a definire un piccolo manuale  pratico di terapia del perdono.
Confesso che, essendo richiesto di scrivere  una breve prefazione, ho dovuto a un certo punto decidere se addentrarmi in una  riflessione meramente culturale e professionale - moltissime delle  argomentazioni proposte dall'autore trovano, infatti, puntuale conferma nella  mia attività clinica di psichiatra, durante la quale continuamente sperimento  gli effetti terapeutici della pacificazione interiore e di quella relazionale -  oppure, come infine ho scelto di fare, lasciare ai lettori la piccola  testimonianza di un convertito, che ha fatto esperienza diretta di quell'Amore  che, perdonando, guarisce. 
D'altra parte, le storie riportate nel libro sono  semplici ed illuminanti: quella di Lidia, quella di Pedro e Sofia, quella di  Rael dal Kenya, quella struggente di Eva Mozes-Kor, sopravvissuta Ad Auschwitz,  quella dei due fratelli del Massachussetz, quella di Immaculè Ilibagiza dal  Rwanda, quella del giovane africano del Burundi, Bonifacio, quella di Ernest  Gaither morto sulla sedia elettrica, quella del transessuale Joaquin e, per  finire, quella di Antonio. 
Potenza taumaturgica del perdono!
Scrive don  Tiziano: "( il perdono non è ) caramelloso buonismo (…) non è un atto di  debolezza, ma uno straordinario gesto di maturità, di superamento e di  liberazione che permette di raggiungere la piena libertà interiore". Ne era  convinto anche Gandhi, che decisamente affermava: "solamente chi è forte è  capace di perdonare. Il debole non sa né perdonare, né punire"
"Nella ricerca  e nell'approfondimento del perdono – scrive e spiega ancora don Tiziano - ho  trovato una non comune preghiera, è di un ebreo anonimo che ha vissuto la  terrificante realtà di Auschwitz, dalla quale emerge una capacità di perdono  inusuale, fuori dal comune, come fuori da ogni logica umana, se non quella  diabolica, è stata la Shoah; termina in questo modo: "Fa, o Signore, che noi  restiamo nel ricordo dei nostri nemici, non come loro vittime, non come un  incubo, non come spettri che si attaccano ai loro passi, ma come un sostegno nei  loro combattimenti, per distruggere il furore delle loro passioni criminali. Non  chiederemo loro nulla di più. E quando tutto sarà finito, donaci di vivere  uomini tra gli uomini e che la pace torni sulla nostra terra. Pace per gli  uomini di buona volontà e per tutti gli altri". 
Che meraviglia, questa  preghiera! Ci aiuta a capire come, seppur difficile e, a volte, terribilmente  faticoso, perdonare persino le vicende e le offese più gravi ed aberranti sia  concretamente possibile ad ogni uomo, nessuno escluso, in quanto figlio  dell'unico Dio, Padre di misericordia, sorgente di Amore! E' evidente che il  perdono, a quei livelli di atrocità e sofferenza, non può che venire da Lui, è  un atto d'amore senza condizioni, è inscritto nell'atto di amore per eccellenza,  assoluto: il Figlio donato sulla Croce. 
Ma, in ogni caso, il perdono, è  sempre qualcosa di più di una tecnica psicologica, di un metodo appreso, del  processo e del risultato di una psicoterapia. Questi, tante volte, rimangono gli  unici, efficaci strumenti a disposizione di chi vive dentro un conflitto e una  sofferenza, senza aver incontrato la fede. E, tuttavia, la mia esperienza sul  campo giunge pressoché alle medesime conclusioni cui perviene l'autore di questo  libro: se non c'è dell'altro, se non interviene un Altro, la riconciliazione con  un evento, un trauma, una ferita dell'anima, una violenza, rimane una  sovrastruttura, non va mai in profondità, non è mai completamente ed  irrevocabilmente liberatoria. 
Il perdono, senza l'incontro con Cristo,  conserva sempre un che di fragile e precario, lasciando inalterata la stessa  modalità reattiva davanti a una nuova delusione, all'ennesima offesa, ad  un'altra vicenda negativa e stressante della vita.
Ecco perché - vien da  dire: naturalmente - don Tiziano giunge alla sua conclusione: solo Cristo ha il  potere di guarire ogni nostra ferita, solo Lui può fare definitivamente luce  sulle nostre tenebre. A differenza del più attrezzato e competente degli  psicoterapeuti, Cristo non ottiene soltanto la cicatrizzazione, ma - come un  grande chirurgo plastico - è in grado di restituire, ai tessuti lacerati, la  precedente integrità e bellezza. 
Bisogna, però, essere disposti a lasciarsi  guarire dall'Amore. 
"Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a  Gerusalemme. Presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico  Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi,  ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era  malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli  disse: «Vuoi guarire?»." (Gv 5, 1-6) 
Ma come sarebbe a dire: vuoi guarire?  Gesù che fa? Lo prende in giro quel poveruomo malato da quasi quarant'anni?  Irride ai ciechi, agli zoppi, agli storpi e lebbrosi che si accalcano in  quell'angolo di Gerusalemme? Come può chiedere a uno di questi sventurati se  vuole guarire? No, che non irride Gesù! Né gioca col dolore! Provoca - questo  sì! – come in tanti altri passi del Vangelo, per stanare le contraddizioni della  nostra umanità pavida e peccatrice, per far emergere la Verità. Infatti, non è  affatto scontato che chi sta male desideri veramente la guarigione. Anzi, a  volte la malattia ci fa comodo, diventa la nostra corazza, ci fa scudo dalle  responsabilità, difende la nostra tendenza al vittimismo, ci risparmia la fatica  e la paura di crescere. E se questo è vero per qualunque malattia, ancora di più  lo è nel campo del disagio e della sofferenza psichica, dove la resistenza al  cambiamento e alla guarigione è lo scoglio che deve affrontare e superare  chiunque si occupi di salute mentale. Specialmente nell'ambito di quelle ferite  emotive causate da un'offesa, da una violenza, da un vissuto di rifiuto o di  abbandono, che necessitano, per essere affrontate e rimarginate, di quello che  potremmo definire il processo emotivo- cognitivo- comportamentale del "perdono".  
Vuoi guarire? Vuoi lasciarti guarire dal mio amore? Ecco la domanda assurda  eppure attuale e pertinente di Gesù! Ecco la provocazione dell'Infinito che si  fa piccolo, per lasciarsi intuire e contenere da un povero cuore sanguinante!  Qui è la sostanza di questo libro, che è insieme una sfida e una speranza,  perché documenta, anche e soprattutto attraverso storie semplici, come una volta  incontrato quell'Amore la nostra vita diventi improvvisamente uno spettacolo di  accoglienza, di comprensione: di perdono, appunto. 
Giunge un'eco, da ognuna  di quelle storie: se Cristo si è chinato su di me, se ha guardato al mio niente,  se il suo braccio potente mi ha tratto via dal baratro, se mi ha amato così  tanto da non curarsi delle mie dimenticanze, dei miei ritardi, della mia  arroganza, della mia presunzione, della mia infedeltà, se mi è stato leale e  fedele, con tenerezza e discrezione, sempre rispettoso dei miei tempi, delle mie  paure, delle mie resistenze e della mia libertà, come posso non vederlo nel  volto di mio padre, anche se il suo cuore restasse ancora indurito dal suo  antico problema? Oppure in quello di un fratello prigioniero della gelosia e  dell'invidia che lo fa incattivire e sbagliare? E, persino, in quello del  carnefice, di un aguzzino? 
Come posso lasciarmi sopraffare dall'esperienza,  pur quotidiana, del tradimento, dell'ingratitudine, del cinismo, se penso a  quell'Uomo crocefisso? Se penso a quella Donna in ginocchio, che continua a  fissarlo, per non perdere niente del suo martirio? Se penso a quanto amore è  rimasto appeso su quel legno, a quanto ne è scivolato giù per fecondare il  terreno arido del Golgota e far nuova la Storia, come posso restare fermo al mio  risentimento? Se quella scena si fa ancora presente - qui ed ora! - come posso  lasciarmi soggiogare dal piccolo e meschino bisogno di vendetta? 
Quanto  amore su quel legno! Generoso, gratuito, senza limiti e misure! 
Solo se non  ci stanchiamo di farne memoria, potremo comprendere fino in fondo il significato  del perdono.
"Perdono, verità e giustizia non sono termini contrapposti, ma  che si completano a vicenda", scrive don Tiziano, precisando che non la "nostra"  verità, né la "nostra" giustizia, ma quelle che vengono da Dio, sono causa e  conseguenza del perdono.
"Cari figli – dice la Regina della Pace in uno dei  suoi messaggi da Medjugorie - … non abbiate paura … vi mostro la strada come  perdonare voi stessi, perdonare gli altri e, con pentimento sincero nel cuore,  inginocchiarvi davanti al Padre. Fate sì che muoia in voi tutto ciò che vi  impedisce di amare e salvare, di essere con Lui e in Lui. Decidetevi per un  nuovo inizio, l'inizio dell'amore sincero di Dio  ..."
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