Il croato in semifinale agli Australian Open: «Il mio tennis non è solo forza»
STEFANO SEMERARO /la Stampa/
STEFANO SEMERARO /la Stampa/
MELBOURNE
Marin Cilic, l'uomo nuovissimo del tennis mondiale, ha 21 anni, viene dalla mistica Medjugorje, si allena a Sanremo, e lo manda Ivanisevic. Stesso fisico, stesso coach del campione di Wimbledon 2001 - l'australiano Bob Brett, specializzato in croati, che fu anche il pigmalione di Becker - ma carattere e braccio (destro, non mancino) opposto a Cavallo Pazzo. «Marin è un tipo calmissimo: sembra un vigile che dirige il traffico sulla linea di fondo», dice di lui Andy Roddick, che ieri ci ha perso nei quarti a Melbourne. «Al primo set e al quinto aveva sempre la stessa espressione. E nel gioco mi ricorda Agassi». Un Agassi lungo 198 cm: stessa altezza e stessa età di Del Potro, il vincitore degli ultimi Us Open. I prototipi del tennista del futuro? «Essere alti e servire forte aiuta», spiega Marin, ragazzino gentile, educatissimo e affilato, quasi bidimensionale nei suoi 82 chili. «Ma non basta per vincere. Io, Del Potro, Querrey sappiamo anche muoverci con grande agilità. Sappiamo rispondere bene, non solo picchiare il servizio. E abbiamo talento: per questo sorprendiamo gli avversari».
Lei li sorprende anche con una freddezza da veterano: qui ha vinto tre volte al quinto set, ed è stato in campo più di tutti, oltre 18 ore, quasi il doppio del suo prossimo avversario Andy Murray.
«Sono tranquillo di natura, non faccio sforzi: Goran diceva di avere tre personalità, a me ne basta una. È una qualità che in campo aiuta molto. Quando me la vedo brutta mi concentro sul mio gioco e non penso al punteggio. Però tutti questi match così lunghi sono stati stancanti, e anche il prossimo con Murray richiederà molte energie. Vediamo se sarò capace di sopravvivere anche a quello...».
Parliamo di Sanremo: quando ci è arrivato?
«Nel 2004. Ivanisevic mi aveva segnalato a Bob Brett, che aveva già allenato lui e Mario Ancic e ha un'accademia lì. Rimasi una settimana, poi vinsi gli europei U16 a Orbetello. Bob capì che ero un bravo ragazzo e avevo stoffa, e mi tenne con lui».
Dell'Italia cosa le piace?
«Tante cose. Il club dove ha l'accademia Bob, il Solaro, è un posto tranquillo, come piace a me. Il calcio: la mia squadra preferita è il Milan, e in una vita futura mi piacerebbe essere un calciatore. Quello per cui tifo Milan è Boban, con cui ho palleggiato tante volte a Zagabria da ragazzino, bravissimo anche con la racchetta. Poi il cibo, a Sanremo vivo con mia madre e mangio soprattutto la pasta e l'agnello che cucina lei».
Primi ricordi tennistici?
«Un'esibizione fra Muster e Ivanisevic vicino a casa mia. E la prima finale persa da Goran a Londra, nel '98: che tristezza. A 14 anni mi sono ritrovato ad allenarmi con l'eroe che aveva appena vinto Wimbledon: un sogno. Goran è stato importantissimo per me, mi ha sempre aiutato».
Come Bob Brett...
«Bob sa guidarmi in ogni dettaglio. Conosce il tennis alla perfezione. Ascoltando le sue storie ho capito che Goran era veramente matto!».
Infine c'è Mile, il minore dei suoi tre fratelli.
«Ha 15 anni, gioca anche lui a tennis, ogni tanto viene a Sanremo, anche se nei tornei mi accompagna il mio fratello maggiore. Una volta persi tre match di fila e per scherzo gli chiesi un consiglio. Mi rispose: okay, ma devi pagarmi».
Sveglio il fratellino. Fuori dal tennis cosa le piace?
«Vado al cinema, sto con gli amici. Poi dormo molto e cerco di migliorare il mio italiano».
Lei è nato a Medjugorje, in Bosnia, ma gioca per la Croazia: come mai?
«Ho sempre avuto il passaporto croato, la mia famiglia viene da lì. A 14 anni mi sono trasferito a Zagabria per allenarmi meglio, e quando ho dovuto scegliere per chi giocare non ho esitato».
Medjugorje nel mondo è famosa soprattutto per le apparizioni della Madonna. Lei è religioso?
«Sì, sono cattolico, mio padre e mia madre mi hanno cresciuto così, come del resto tutti».
Crede anche alle apparizioni della Madonna?
«Ovvio che sì. Ho anche parlato con le persone a cui è apparsa. Sono persone pure di cuore. Se li conosci capisci che i miracoli possono accadere».
Marin Cilic, l'uomo nuovissimo del tennis mondiale, ha 21 anni, viene dalla mistica Medjugorje, si allena a Sanremo, e lo manda Ivanisevic. Stesso fisico, stesso coach del campione di Wimbledon 2001 - l'australiano Bob Brett, specializzato in croati, che fu anche il pigmalione di Becker - ma carattere e braccio (destro, non mancino) opposto a Cavallo Pazzo. «Marin è un tipo calmissimo: sembra un vigile che dirige il traffico sulla linea di fondo», dice di lui Andy Roddick, che ieri ci ha perso nei quarti a Melbourne. «Al primo set e al quinto aveva sempre la stessa espressione. E nel gioco mi ricorda Agassi». Un Agassi lungo 198 cm: stessa altezza e stessa età di Del Potro, il vincitore degli ultimi Us Open. I prototipi del tennista del futuro? «Essere alti e servire forte aiuta», spiega Marin, ragazzino gentile, educatissimo e affilato, quasi bidimensionale nei suoi 82 chili. «Ma non basta per vincere. Io, Del Potro, Querrey sappiamo anche muoverci con grande agilità. Sappiamo rispondere bene, non solo picchiare il servizio. E abbiamo talento: per questo sorprendiamo gli avversari».
Lei li sorprende anche con una freddezza da veterano: qui ha vinto tre volte al quinto set, ed è stato in campo più di tutti, oltre 18 ore, quasi il doppio del suo prossimo avversario Andy Murray.
«Sono tranquillo di natura, non faccio sforzi: Goran diceva di avere tre personalità, a me ne basta una. È una qualità che in campo aiuta molto. Quando me la vedo brutta mi concentro sul mio gioco e non penso al punteggio. Però tutti questi match così lunghi sono stati stancanti, e anche il prossimo con Murray richiederà molte energie. Vediamo se sarò capace di sopravvivere anche a quello...».
Parliamo di Sanremo: quando ci è arrivato?
«Nel 2004. Ivanisevic mi aveva segnalato a Bob Brett, che aveva già allenato lui e Mario Ancic e ha un'accademia lì. Rimasi una settimana, poi vinsi gli europei U16 a Orbetello. Bob capì che ero un bravo ragazzo e avevo stoffa, e mi tenne con lui».
Dell'Italia cosa le piace?
«Tante cose. Il club dove ha l'accademia Bob, il Solaro, è un posto tranquillo, come piace a me. Il calcio: la mia squadra preferita è il Milan, e in una vita futura mi piacerebbe essere un calciatore. Quello per cui tifo Milan è Boban, con cui ho palleggiato tante volte a Zagabria da ragazzino, bravissimo anche con la racchetta. Poi il cibo, a Sanremo vivo con mia madre e mangio soprattutto la pasta e l'agnello che cucina lei».
Primi ricordi tennistici?
«Un'esibizione fra Muster e Ivanisevic vicino a casa mia. E la prima finale persa da Goran a Londra, nel '98: che tristezza. A 14 anni mi sono ritrovato ad allenarmi con l'eroe che aveva appena vinto Wimbledon: un sogno. Goran è stato importantissimo per me, mi ha sempre aiutato».
Come Bob Brett...
«Bob sa guidarmi in ogni dettaglio. Conosce il tennis alla perfezione. Ascoltando le sue storie ho capito che Goran era veramente matto!».
Infine c'è Mile, il minore dei suoi tre fratelli.
«Ha 15 anni, gioca anche lui a tennis, ogni tanto viene a Sanremo, anche se nei tornei mi accompagna il mio fratello maggiore. Una volta persi tre match di fila e per scherzo gli chiesi un consiglio. Mi rispose: okay, ma devi pagarmi».
Sveglio il fratellino. Fuori dal tennis cosa le piace?
«Vado al cinema, sto con gli amici. Poi dormo molto e cerco di migliorare il mio italiano».
Lei è nato a Medjugorje, in Bosnia, ma gioca per la Croazia: come mai?
«Ho sempre avuto il passaporto croato, la mia famiglia viene da lì. A 14 anni mi sono trasferito a Zagabria per allenarmi meglio, e quando ho dovuto scegliere per chi giocare non ho esitato».
Medjugorje nel mondo è famosa soprattutto per le apparizioni della Madonna. Lei è religioso?
«Sì, sono cattolico, mio padre e mia madre mi hanno cresciuto così, come del resto tutti».
Crede anche alle apparizioni della Madonna?
«Ovvio che sì. Ho anche parlato con le persone a cui è apparsa. Sono persone pure di cuore. Se li conosci capisci che i miracoli possono accadere».